Con le Memorie dal sottosuolo lo scrittore fonda la narrazione su un’altra dimensione del soggetto e, per la prima volta, l’interiorità diviene il nodo focale del racconto, da cui è esclusa ogni connotazione sociale oggettiva.
Il narratore comincia presentandosi come un uomo sgarbato, irascibile, che digrigna i denti ai postulanti quando si presentano nell’oscuro ufficio dove lui lavora. Dopo aver affermato di essere un impiegato cattivo, ritira questa dichiarazione e dice di non essere nemmeno questo:
“Non soltanto non ho saputo essere cattivo, ma non ho saputo essere niente di niente: né buono né cattivo, né canaglia né galantuomo, né eroe né insetto.”[1]
Il tema successivo è la consapevolezza umana, delle proprie emozioni (la consapevolezza, non la coscienza); “dopo ogni disgustoso atto che ha commesso torna strisciando nella propria tana e comincia a godersi l’esecranda voluttà della vergogna, del rimorso, il piacere della propria bassezza, della degradazione”(ibidem, pag.153). È un piacere complesso. L’uomo-topo si sta riempiendo la vita di emozioni fasulle non avendone di reali; poi il protagonista, o il suo creatore, trova una serie di idee che ruotano intorno alla parola ‘vantaggio’; sono tutti discorsi privi di senso, ovviamente; e come l’uomo-topo non ha saputo spiegarci le gioie della degradazione e della sofferenza, così non ci spiega neppure i vantaggi dello svantaggio. L’uomo-topo evoca una futura immagine di prosperità universale, un palazzo di cristallo per tutti, e qui viene svelato in cosa consiste il misterioso vantaggio: la propria scelta libera e indipendente, il proprio capriccio, sia pure folle. In altre parole l’uomo non aspira a un tornaconto razionale, ma semplicemente a scegliere autonomamente –qualunque cosa scelga- anche a costo di distruggere le strutture della logica, della statistica, dell’armonia e dell’ordine. Poi riprende il tema della distruzione; “forse, dice, l’uomo preferisce distruggere che creare. Forse,dice, l’uomo preferisce distruggere che creare. Forse non è il raggiungimento di una meta che lo attira ma il procedimento che a essa conduce. Forse, dice l’uomo topo, l’uomo ha paura di riuscire. Forse gli piace la sofferenza. Forse la sofferenza è l’unica origine della consapevolezza. Forse l’uomo, per così dire, diventa un essere umano quando comincia a essere consapevole della propria consapevolezza di soffrire.” (ibidem, pag. 156).
I rapporti sociali non avranno più quella caratteristica rappresentazione oggettiva, ma saranno una proiezione, un riflesso della dimensione interiore. L’uomo del sottosuolo è un escluso, un reietto, un individuo che vive lontano, al di fuori della vita collettiva.
In quanto figura ambigua dell’interiorità, il ‘sottosuolo’ traccia l’orizzonte tragico della solitudine umana e si costituisce come luogo inaccessibile nel quale la soggettività si è rinchiusa; l’uomo del sottosuolo non è un eroe in senso romantico, è piuttosto un perdente, un antieroe, e il sottosuolo è il luogo del suo esilio e dell’espiazione della colpa. Così l’isolamento, il ripiegamento su se stessi e il colloquio esclusivo con la propria interiorità vengono ad assumere il valore di un affronto alla legge collettiva, una violazione contro il mondo degli uomini.
L’interiorità rappresenta tutto l’universo dell’uomo, a tal punto che non esiste più differenza tra mondo esterno e mondo interno:
“Il mio alloggio era il mio eremo, il mio guscio, il mio astuccio, nel quale mi nascondevo a tutta l’umanità.”
La vita interiore crea spontaneamente la situazioni e dirige l’azione nella dimensione del fantastico, ma il reale è naturalmente diverso. Per alcuni individui questa attitudine a fantasticare sulle circostanze future assume una parte sempre più importante nella vita psichica, al punto di diventare determinante nel rapporto con la realtà. La vita assume allora un aspetto irreale e si può aprire una frattura insanabile tra mondo interiore e mondo esterno, dove l’interiorità si dilata fino a diventare la condizione esistenziale autentica dell’individuo:
“In generale ero sempre solo. A casa, in primo luogo, e per lo più leggevo. Avevo voglia di soffocare con sensazioni esteriori tutto ciò che ribolliva incessantemente dentro di me. E fra le sensazioni esteriori rientrava tra le mie possibilità soltanto la lettura.” (ibidem, pag. 59).
[1] Dostoevskij, (1864), Memorie dal Sottosuolo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano,1987, pag.7.