giovedì 7 agosto 2008

La punizione del gioco in Dostoevskij


Dostoevskij parte per la prima volta verso l’Occidente all’inizio del mese di giugno del 1863. E’ diretto a Parigi, ma quando passa per Wiesbaden, allora una delle capitali del gioco in Europa, come la altre città d’acqua tedesche, Baden-Baden, Amburgo, Ems, scende dal treno per sfidare la sorte alla roulette, attratto dalle illusorie descrizioni lette sui giornali russi.
Passato non molto tempo, Dostoevskij, consigliato dal suo medico, visto che le sue crisi di epilessia diventavano sempre più frequenti, decide di partire di nuovo per l’Europa. Sua moglie tubercolotica sta morendo e lui deve raggiungere a Parigi l’amica Polina Suslova (Apolinarija Suslova, adombrata nel personaggio di Polina Aleksàndrovna del Giocatore). La partenza è però continuamente rimandata e Polina, spazientita, si innamora di uno studente spagnolo. Dostoevskij, furioso, si mette allora in viaggio, ma, ancora, passando per Wiesbaden, cede alla tentazione della roulette.
Arrivato a Parigi, trova Polina che ha appena rotto con lo spagnolo, quindi si propongono di partire insieme per l’Italia, non rinunciando, tuttavia, a passare per Wiesbaden e Baden-Baden, dove perdono tutti i soldi che lui era riuscito a guadagnare.
E’ allora che gli viene l’idea di scrivere un romanzo sul gioco. Scrive all’amico Strachov, da Roma, il 18 settembre 1863[1]:
Per ora non ho niente di pronto, ma ho un bel progetto in mente. L’ho annotato in parte su carta straccia […]. Il soggetto è questo: il tipo dell’uomo russo all’estero. Tutto questo ci sarà nel romanzo, ma io voglio che vi si rifletta, nella misura in cui vi è possibile, lo stato attuale della nostra vita interiore. Penso a un uomo il cui carattere sia assolutamente aperto, un uomo che si interessi a diverse materie, ma incompleta a ognuna. Ha perduto ogni fede, ma nello stesso tempo non osa essere miscredente. E’ a un tempo ribelle all’autorità e spaventato da essa. Si consola pensando che non ci sia niente da fare per lui in Russia, e condanna crudamente tutti coloro che vorrebbero richiamare in patria i russi che vivono all’estero. Ma non posso raccontarti tutto adesso. […] Il punto essenziale è che tutta la sua linfa vitale, le sue forze, il suo impeto e la sua audacia sono assorbiti dalla roulette. […] Il mio eroe a modo suo è un poeta, ma si vergogna di questa poesia di cui sente profondamente la bassezza. Tuttavia il bisogno di rischiare qualcosa lo risolleva dai propri occhi. Il racconto parlerà solo dei tre anni in cui egli gioca alla roulette.

Solo parecchi anni più tardi Dostoevskij realizzerà il suo progetto, dopo diversi viaggi e un’assidua frequentazione dei tavoli da gioco tedeschi, dopo la morte della moglie e del fratello. Oppresso dai creditori, firma un contratto con l’editore Stellovskij per la pubblicazione delle sue opere complete, impegnandosi a consegnare un romanzo inedito entro il 1° novembre 1866, pena la perdita di tutti i diritti su questa edizione e l’obbligo di rimborsare il denaro che aveva già ricevuto. Avendo però già avuto un anticipo da un altro editore per Delitto e Castigo, si trova a dover terminare due libri con scadenze impossibili.
Così, quando Dostoevskij, infine, scrive il suo racconto, si gioca l’ultima carta. Se non vince la scommessa di scrivere quest’opera, perde tutto. Le circostanze della redazione si accordano fin troppo bene con il tema che affronta, tema che già da anni avrebbe voluto sviluppare, non solo con la speranza di guadagnare qualche soldo, ma soprattutto sperando così di smettere di perderne, perché questo libro è un esorcismo. Si sforza, descrivendola, di neutralizzare la passione del gioco che lo travolge.
La personalità che con tale forza vive in queste pagine prima per il suo autore che per noi, Dostoevskij vuole separarla dalla sua; l’autore vuole liberarsi da questo suo doppio che lo divora e lo rovina. E’ dunque lui che parla, ma cercando di differenziare l’eroe da se stesso, inserendolo in circostanze ben precise, che sottolineano il distacco da lui, di modo che, quando nelle ultime righe del libro si leggerà: “Domani, domani tutto finirà!”, egli potrà sperare che queste parole saranno vere per se stesso, per lui, Fëdor Dostoevskij, vale a dire che da quel momento avrà la saggezza di non giocare mai più, mentre tutta la fatalità della roulette, a cui invano aveva cercato di sottrarsi fino ad allora, si abbatterà sul suo capro espiatorio, che è Alekséj Ivànovic.
Scrivendo Il Giocatore, dunque, Dostoevskij gioca, gioca per liberarsi dal gioco, per far tacere il giocatore che c’è in lui.
Se all’inizio del racconto i giocatori sono separati da coloro che si limitano a guardare i gentlemen, con l’arrivo della nonna questa distinzione si dissolve. Se all’inizio del racconto, il generale e il suo seguito riescono sempre a fare bella figura, a comportarsi in modo ragionevole, con il comportamento imprevedibile della nonna, che sarcasticamente si può associare alla biglia che gira nella cuvette, questo atteggiamento contenuto non è più possibile.
Se Alekséj si mette a giocare veramente è per umiliazione, perché è stato cacciato dal generale e vede con quale rapidità intorno al tavolo della roulette il rispetto si riconquisti, grazie alle somme di denaro, di cui decide la piccola biglia.
In una società dove il rispetto dipende a tal punto dal denaro, senza che nessuno si interroghi sulla sua origine, se il tavolo da gioco è il luogo dove si può guadagnare molto denaro in poco tempo, si può dire che esso sia anche l’unica difesa per colui che è umiliato.
Se Alekséj non è salvato alla fine del libro, se sprofonda nell’inferno del gioco, è perché è solo, malgrado l’attaccamento capriccioso e distante che prova per lui Polina. Dostoevskij, lui, mentre stava completando la stesura, puntò su un’altra donna, Ana, che lo aiutò come stenografa e dopo tre mesi diventerà sua moglie. Quando mette il punto finale, quando consegna il manoscritto nelle mani del commissario di polizia, spera di abbandonare, rinchiuso nella gabbia che lui stesso ha costruito, il suo disgraziato doppio. Quindi lui sarà liberato.

[1] Dostoevskij (1866), Il giocatore, introduzione di Michel Butor, Arnoldo Mondadori Editore, Milano,1991, pag.VI.

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