sabato 30 agosto 2008

Memorie dal sottosuolo.


Le memorie dal sottosuolo costituiscono una tappa centrale nella vicenda artistica e spirituale di Dostoevskij. Lo scrittore, quarantaduenne, è tornato da soli due anni dalla deportazione e dal confino a cui era stato condannato nel ’49 per le sue simpatie socialiste.
Con le Memorie dal sottosuolo lo scrittore fonda la narrazione su un’altra dimensione del soggetto e, per la prima volta, l’interiorità diviene il nodo focale del racconto, da cui è esclusa ogni connotazione sociale oggettiva.
Il narratore comincia presentandosi come un uomo sgarbato, irascibile, che digrigna i denti ai postulanti quando si presentano nell’oscuro ufficio dove lui lavora. Dopo aver affermato di essere un impiegato cattivo, ritira questa dichiarazione e dice di non essere nemmeno questo:

“Non soltanto non ho saputo essere cattivo, ma non ho saputo essere niente di niente: né buono né cattivo, né canaglia né galantuomo, né eroe né insetto.”[1]

Il tema successivo è la consapevolezza umana, delle proprie emozioni (la consapevolezza, non la coscienza); “dopo ogni disgustoso atto che ha commesso torna strisciando nella propria tana e comincia a godersi l’esecranda voluttà della vergogna, del rimorso, il piacere della propria bassezza, della degradazione”(ibidem, pag.153). È un piacere complesso. L’uomo-topo si sta riempiendo la vita di emozioni fasulle non avendone di reali; poi il protagonista, o il suo creatore, trova una serie di idee che ruotano intorno alla parola ‘vantaggio’; sono tutti discorsi privi di senso, ovviamente; e come l’uomo-topo non ha saputo spiegarci le gioie della degradazione e della sofferenza, così non ci spiega neppure i vantaggi dello svantaggio. L’uomo-topo evoca una futura immagine di prosperità universale, un palazzo di cristallo per tutti, e qui viene svelato in cosa consiste il misterioso vantaggio: la propria scelta libera e indipendente, il proprio capriccio, sia pure folle. In altre parole l’uomo non aspira a un tornaconto razionale, ma semplicemente a scegliere autonomamente –qualunque cosa scelga- anche a costo di distruggere le strutture della logica, della statistica, dell’armonia e dell’ordine. Poi riprende il tema della distruzione; “forse, dice, l’uomo preferisce distruggere che creare. Forse,dice, l’uomo preferisce distruggere che creare. Forse non è il raggiungimento di una meta che lo attira ma il procedimento che a essa conduce. Forse, dice l’uomo topo, l’uomo ha paura di riuscire. Forse gli piace la sofferenza. Forse la sofferenza è l’unica origine della consapevolezza. Forse l’uomo, per così dire, diventa un essere umano quando comincia a essere consapevole della propria consapevolezza di soffrire.” (ibidem, pag. 156).
I rapporti sociali non avranno più quella caratteristica rappresentazione oggettiva, ma saranno una proiezione, un riflesso della dimensione interiore. L’uomo del sottosuolo è un escluso, un reietto, un individuo che vive lontano, al di fuori della vita collettiva.
In quanto figura ambigua dell’interiorità, il ‘sottosuolo’ traccia l’orizzonte tragico della solitudine umana e si costituisce come luogo inaccessibile nel quale la soggettività si è rinchiusa; l’uomo del sottosuolo non è un eroe in senso romantico, è piuttosto un perdente, un antieroe, e il sottosuolo è il luogo del suo esilio e dell’espiazione della colpa. Così l’isolamento, il ripiegamento su se stessi e il colloquio esclusivo con la propria interiorità vengono ad assumere il valore di un affronto alla legge collettiva, una violazione contro il mondo degli uomini.
L’interiorità rappresenta tutto l’universo dell’uomo, a tal punto che non esiste più differenza tra mondo esterno e mondo interno:

“Il mio alloggio era il mio eremo, il mio guscio, il mio astuccio, nel quale mi nascondevo a tutta l’umanità.”

La vita interiore crea spontaneamente la situazioni e dirige l’azione nella dimensione del fantastico, ma il reale è naturalmente diverso. Per alcuni individui questa attitudine a fantasticare sulle circostanze future assume una parte sempre più importante nella vita psichica, al punto di diventare determinante nel rapporto con la realtà. La vita assume allora un aspetto irreale e si può aprire una frattura insanabile tra mondo interiore e mondo esterno, dove l’interiorità si dilata fino a diventare la condizione esistenziale autentica dell’individuo:

“In generale ero sempre solo. A casa, in primo luogo, e per lo più leggevo. Avevo voglia di soffocare con sensazioni esteriori tutto ciò che ribolliva incessantemente dentro di me. E fra le sensazioni esteriori rientrava tra le mie possibilità soltanto la lettura.” (ibidem, pag. 59).
[1] Dostoevskij, (1864), Memorie dal Sottosuolo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano,1987, pag.7.

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